Domenica 8 giugno 2008, è stata rappresentata, al Real Albergo dei Poveri di Napoli, per il Napoli Teatro Festival Italia, Médée di Max Rouquette, con Odile Sankara, Bakary Konate, Mariam Kone, Moussa Sanou, Hamadou Sawadogo, Ténin Dembele, Adiaratou Diabate, Haoua Diawara, Assetou Demba, Karidia Konate, Fatimata Kouyate, Blandine Yaméogo, Kabore Joel e Thiombiano Diama; per la regia di Jean-Louis Martinelli. Una coproduzione Théatre Nanterre Amandiers e Teatro Festival Italia.
La Médée, che Martinelli porta in scena, è il risultato dell’incontro tra il testo in occitano di Rouquette e l'Africa. In essa, come sostiene lo stesso regista, “c'è un rapporto strettissimo con la natura”, e aggiunge: “sono molto contento che si sia fatto all'aperto, sotto le stelle. Quando ho visitato a Napoli l'Albergo dei Poveri ho capito che era il luogo adatto, che poteva corrispondere all'Africa ma non solo, rappresentando i profughi di molti altri luoghi del mondo".
La scenografia, a cura di Gilles Taschet, essenziale e spoglia, assume carattere tribale e arcaico, quasi a voler far riferimento ai villaggi africani e ancor di più all’intima essenza di quel continente che “con le sue democrazie balbuzienti, i conflitti etnici, le frontiere fragili dà risonanza ad ogni tragedia dell’esilio e dell’appartenenza”. Non è un caso che la storia di Medea, tra le vicende del mito antico, è quella che maggiormente si lega alla figura dell'altro e dello straniero.
La struttura del dramma greco cambia, nell’allestimento in questione, totalmente e cede il passo a una costruzione diversa, ricca di riti e cerimoniali che si discostano da quelli del dramma antico classico. A sostituire i tradizionali stasimi sono dei suggestivi salmi, egregiamente eseguiti dal coro delle donne Bambara, che cantano nel proprio dialetto sulla musica composta da Ray Lema ed eseguita da Baba Kouyaté.
Si susseguono, così, il salmo dei cammini, dello straniero, delle madri, del perdono, dell’abbandono, dell’angoscia, della rassegnazione, del figlio, del presentimento, del male ed infine del nulla “letto di ogni cosa”.
Medea, uno dei più cupi personaggi nell'universo del mito antico, si mostra allo spettatore, nell’interpretazione di Odile Sankara, come figura ancestrale, fiera e selvaggia, autorevole e al tempo stesso e fragile, vendicativa e ineluttabilmente crudele nel drammatico finale. L’infanticidio, l'atto estremo con cui essa si vendica dell'abbandono di Giasone, costituirà per lei il punto di non-ritorno.
Ottima l’interpretazione di Odile Sankara che non tradisce l’essenza del personaggio: ad una voce scandita ne contrappone un’altra dimessa e disperata; entrambe a rappresentare l’allucinante alternarsi di rabbia e cedimento della protagonista.
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